ilcalcioelosportdiunavolta: luglio 2012

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lunedì 30 luglio 2012

Grazie ragazze

Ogni tanto è bello parlare di altri sport, diversi e meno osannati del solito nostro calcio.
In questi giorni e per tutto il mese di Agosto 2012 possiamo assistere alla rassegna olimpica con le gare che, stavolta, dopo l'epica edizione di Pechino 2008 si svolgono in quel di Londra.
Per fortuna le gare sono tutte facilmente seguibili in tv o su pc grazie all'ubicazione europea che ci favorisce senza costringerci a stare svegli di notte per poter vedere le gare dei nostri beniamini nazionali.
Pochi giorni fa, mentre tuttora vi sono importanti atleti ed atlete che esprimono il massimo impegno per raggiungere l'obiettivo di una medaglia per l'Italia, abbiamo potuto asstere ad una starordinaria prova delle ragazze del fioretto, diciplina schermistica che ci ha sempre regalato enormi successi e soddisfazioni. Accanto alla prova ancora una volta magistrale della mitica Vezzali, supercampionessa pluripremiata a livello mondiale e olimpico, stavolta medaglia di bronzo nella prova individuale, abbiamo potuto ammirare la prova delle altre due ragazze: la Di Francisca, che ha vinto la medaglia d'oro, e della Errigo che ha vinto la medaglia d'argento.
In un tourbillon di emozioni altalenanti le ragazze hanno offerto delle sfide eccezionali regalandoci un podio tutto azzurro e l'orgoglio di appartenere alla nostra nazione. 

Grazie ragazze.

domenica 22 luglio 2012

Che fine ha fatto Del Piero?

Solo due mesi fa alla chiusura del campionato di calcio di serie A 2011-12 si sprecavano i titoli sui giornali per esaltare la splendida e fortunata carriera agonistica del capitano juventino Alessandro Del Piero.
Record su record si ricordavano e venivano scanditi sulle colonne dei maggiori quotidiani sportivi e non, tutti domandandosi come mai il presidente  Andrea Agnelli avesse deciso con lasso di tempo sospetto e troppo anticipato rispetto alla conclusione naturale del campionato di dare il benservito alla gloria torinese.
Perchè non condermare Del Piero? Tale domanda era stata ripetutamente rivolta alla dirigenza juventina con esortazioni da parte dei tifosi della "vecchia signora" speranzosi di un cambio di rotta del presidente e di una proposta di rinnovo contrattuale che, poi, invece,  non è amai arrivata.
Ma, la domanda da porre ora ed allora è ed era una sola: può e poteva Del Piero essere ancora decisivo per le sorti della squadra in cui aveva militato, vezzeggiato, coccolato, difeso, amato da tutti i suoi compagni? Perchè lo stesso allenatore scudettato Antonio Conte non ha mai apertamente chiesto la conferma di Alex e non ha mai apertamente criticato la scelta della dirigenza della sua squadra?
Solo per un malcelato senso di appartenenza e del dovere, di rispetto delle decisioni gerarchiche a lui superiori? O forse, e questa è la risposta più vicina alla relatà, lo stesso mister tricolore aveva compreso che la parabola da protagonista del Pinturicchio (come da definizione dell'avvocato Gianni Agnelli) era ormai giunta al capolinea?
La risposta senza vanità di essere certa sta probabilmente nel fatto evidente che, ad oggi, nessuno si è apertamente mostrato interessato a proporre un contratto all'ex capitano juventino, nessuna squadra di fascia medio-alta dei campionati di maggior livello.
Forse, ciò che noi amanti della parabola sportiva positiva di Del Piero non riusciamo a vedere appare in realtà limpido ed evidente per gli addetti ai lavori: Alex deve chiudere con il calcio giocato ad alto livello.

Auguri signor Del Piero, da ora inizia per lei un'altra vita.

giovedì 19 luglio 2012

Il calciomercato del calcio malato

Ecco, siamo nel pieno delle fasi convulse del calciomercato. Come sempre, con atto ripetitivo e metodico, le squadre di calcio di serie A e B si ritrovano in un noto albergo milanese per discutere e intrecciare le trattative per il passaggio di calciatori, dai campioni strapagati ai semplici interpreti e attori di modesto rilievo del bel fenomeno del calcio giocato.
Diciamo la verità, di convulso c'è davvero poco, se non le facce dei giornalisti delle televisioni nazionali o locali, moltiplicatesi con l'avvento dei canali del digitale terrestre e della piattaforma satellitare, che sempre in cerca di scoop o notizie, in realtà, raccontano le stesse storie. In una fase così complicata della vita politica ed economica del nostro Pease e di tutto il gruppo dei Paesi della UE nessuno potrebbe, ad oggi, assumersi la responsabilità di spendere cifre pari a milioni di euro per gli acquisti di cartelllini di atleti che hanno dalla loro solo la fortuna di essere nati con un talento inestimabile. Pensateci bene.
In tutta Europa chi si permette di spendere investendo fior di soldini sulle gambe dei giovanotti viziati che abbiamo, ahinoi.. colpa nostra, eletto a beniamini delle nostre domeniche pomeriggio?
Beh, non certo gli imprenditori europei, cioè quei presidenti che fino ad un paio di anni orsono facevano a gara per sfidarsi sull'ingaggio del nome del calciatore più in voga del momento.
Moratti dell'Inter, Berlusconi del Milan, lo sceicco Mansur del Manchester City, Malcom Glazer del Manchester United, Ramon Calderon del Real Madrid, Jaon Laporta del Barcellona ed in ultimo, Nasser Al Khelaifi del Paris Saint Germain, quanto hanno investito negli ultimi 5 anni? Ripeto parlo solo degli ultimi 5 anni. Ma ora tutto è cambiato.
L'Inter già dallo scorso campionato di calcio ha iniziato una politica di austerity, cedendo i pezzi grossi a cifre elevate, liberandosi di ingaggi esorbitanti, dando chance a calciatori più giovani. Ed i risultati?
Bah, glissiamo la domanda.
Stessa cosa sta facendo ora il Milan che prima si è liberato dei vari "vecchi" Inzaghi, Seedorf, Nesta, Gattuso, poi ha ceduto Ibracadabra ed il forte difensore brasiliano T. Silva alla rivale PSG.
Ma anche Real e Barcellona sono ferme, stanno a guardare. E come biasimarle dopo che il governo spagnolo proprio in giornata ha fatto sapere che la Spagna è sull'orlo del fallimento?
Ecco, allora, chi spende? Facile, gli arabi.
Il mondo è cambiato anche nel calcio.
In Russia i magnati si contendono fior di campioni ed alenatori di grande grido, Hiddink all'Anzhi, Spalletti allo Zenit, Fabio Capello ct della panchina russa.
Nei Paesi arabi, gente come Luca Toni è andata a giocare gli ultimi sprazzi di una carriera notevole, Zenga allena, Maradona allena. E che importano i risultati? Tanto si guadagna tanto, ma tanto, ma tanto....
Ahh, come sono lontani quei tempi in cui Sandro Mazzola e Gianni Rivera giurarono fedeltà alle squadre in cui erano cresciuti e dove erano diventati uomini prima che grandi campioni.

sabato 7 luglio 2012

L’Africa nel pallone

Il calcio in Africa non è solo sport e divertimento. È anche, e soprattutto, una prospettiva diversa da cui vedere, o immaginare, il proprio futuro. È seguendo questo miraggio che milioni di giovani africani si danno appuntamento ogni giorno in campi polverosi e pieni di buche. Indossano scarpini sfondati e magliette sdrucite.

Rincorrono palloni malconci e inseguono sogni di gloria. I riflettori dei media sono tutti puntati sulle stelle del calcio, dal camerunense Samuel Eto’o all’ivoriano Didier Drogba. La popolarità dei grandi campioni è tale da oscurare quella dei leader politici, ben oltre la conclusione delle carriere sportive. In Camerun negli uffici governativi, sopra i ritratti ufficiali del presidente, campeggiano ancora le foto di Thomas N’Kono (indimenticato portiere degli anni Settanta e Ottanta) e Roger Milla (il cannoniere più longevo della Coppa del Mondo). In ogni abitazione della Liberia spicca un poster di George Weah, primo pallone d’oro africano, emblema vivente di uno sport che sa ancora infiammare l’orgoglio nazionale.  Dal Cairo a Città del Capo, le partite che contano finiscono per paralizzare interi Paesi. Gli stadi e le tv sono presi d’assalto dai tifosi. E i radiocronisti, con le loro voci gracchianti e ispirate, raccontano imprese eroiche e disfatte colossali, regalando brividi ed emozioni anche nei villaggi più sperduti.

Una passione, quella degli africani per il calcio, inversamente proporzionale ai soldi che ci possono investire. Basti pensare che una sola partita di Champions del Barcellona vale, in termini economici, più di tutte le competizioni ufficiali organizzate in un anno nel continente.

Una situazione che spinge i cacciatori di teste dei ricchi club europei ad andare in Africa a fare acquisti. Uno shopping che ormai si è trasformato in saccheggio di giovani talenti. E così anche il football è colpito da quella sorta di maledizione plurisecolare che si è abbattuta sul continente africano, condannandolo alla vendita all’estero delle proprie materie prime, senza poterle ‘sfruttare’ in loco. Minerali, legname pregiato, diamanti, petrolio… e ora anche calciatori.

Le famiglie pagano pseudo procuratori per esportare i loro figli in Europa, senza sapere che molti di loro poi si ritroveranno soli e senza ingaggio in una periferia del Nord del mondo.

Oggi il calcio africano è una miniera d’oro che sforna campioni e favole sportive. Ma anche delusioni e spietati fallimenti.

mercoledì 4 luglio 2012

Pallone criminale

Un’inchiesta giornalistica sul calcio con la forza narrativa di un romanzo noir alla Giancarlo De Cataldo. «Pallone criminale» (pp. 350, euro 14, Ponte alle grazie) di Simone Di Meo e Gianluca Ferraris è una folgorante fotografia della degenerazione che sta vivendo il mondo della pelota, grazie ad alcuni fenomeni che hanno avuto l’epicentro proprio in Puglia.
Oltre alla Procura di Cremona, anche quelle di Bari e Lecce sono protagoniste di indagini sullo sport più amato dagli italiani: la prima per svelare gli artifici con cui la «banda Masiello» truccava le gare di serie A (compreso il derby Bari-Lecce) e i meccanismi di riciclaggio del denaro sporco, la seconda nel monitorare la penetrazione dei capitali mafiosi nelle società dilettantistiche.

Gli autori, per spiegare l’andazzo ricorrente soprattutto nelle serie minori, riportano le parole di Raffaele Cantone, ex sostituto procuratore della Dda di Napoli: «La criminalità organizzata sa che non c’è strumento migliore del calcio per costruirsi un legame duraturo con la popolazione e l’ambiente. Se il grande imprenditore alla Berlusconi, alla Cragnotti, alla Tanzi, decide di investire nella proprietà di una squadra di football (...) è perché si aspetta ritorni di altro tipo: pubblicità, opportunità di mercato, nuovi rapporti. Il fine che muove le mafie è esattamente lo stesso». Il ritratto dei due giornalisti a tinte forti ruota intorno a «un filo rosso, lungo e contorto, che unisce la criminalità organizzata italiana e quella straniera. Gli incontri delle più importanti manifestazioni calcistiche del pianeta, Mondiali compresi, e i campi polverosi dei gironi meridionali di terza serie. Gli ex campioni bolliti e le giovani promesse. I faccendieri alla Totò e i criminali alla Scarface. Il pallone che ci fa innamorare e il pallone criminale. Un filo rosso lungo e contorto che parte dalla sala vip di un esclusivo betting club di Singapore, per attraversare i Quartieri Spagnoli di Napoli, i vicoli di Bari vecchia, gli stadi di tutta Italia, e atterrare, un’uggiosa domenica pomeriggio di fine autunno, in una piccola procura immersa nella provincia padana. Ed è da qui che dobbiamo iniziare anche noi, se vogliamo capirci qualcosa».

Per il procuratore della Dda di Lecce «ci sono almeno sette squadre che militano nei campionati di Eccellenza salentini sotto il controllo della Scu. (... ) I «sacristi» agiscono attraverso presidenti, amministratori, soci o addirittura direttori sportivi legati ai clan, con un doppio obiettivo: riciclare il denaro sporco e irrobustire, attraverso il calcio, il consenso di cui godono». Motta indica anche una soluzione alla Figc: l’adozione di un protocollo con l’obbligo di certificazione antimafia per chi lavora nei club calcistici. Inquietante, infine, il ritratto delle frequentazioni di alcuni giocatori del Bari guidato prima da Ventura e poi da Mutti. «Nessuno - scrivono Di Meo e Ferraris - sa dove gli intermediari scommettano, ma di certo tutti sanno dove trovarli: che si tratti degli "zingari", del factotum Iacovelli o degli emissari del clan Parisi, la loro osmosi con i calciatori del Bari nel corso della stagione 2010-2011 è totale: frequentano gli stessi alberghi, gli stessi ristoranti, gli stessi locali, addirittura in un caso (la vicenda finirà opportunamente coperta da un omissis) anche le stesse escort. Già nell’estate del 2009, per la verità, uno dei sodali di Masiello arrestati, Fabio Giacobbe, volò negli Emirati in gita premio con la squadra biancorossa, per festeggiare la promozione dei pugliesi in serie A». L’intento di questo libro? Far ritornare il pallone, una volta bonificato da queste metastasi, a «rotolare in modo decoroso», restituendo il giusto fascino allo sport che Pier Paolo Pasolini definiva «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo».

Fonte:  "Corriere del mezzogiorno"

martedì 3 luglio 2012

"Baggio era magico"


Calcio, passeggiate e ramino. Carlo Mazzone si gode la pensione ad Ascoli Piceno, la sua seconda città, rispettando un rituale quotidiano: giornali e televisione per seguire il calcio, un’ora di passeggiata per la salute, ramino o scala quaranta nel circolo cittadino per rilassarsi. In questi giorni in cui si è tornato a parlare di Roberto Baggio, Mazzone ha seguito con attenzione le celebrazioni del suo giocatore più amato. Il rapporto tra l’anziano maestro che all’età di 63 anni, nel 2000, si ritrovò ad allenare uno dei più grandi calciatori italiani di tutti i tempi è una bella storia di calcio e di vita. "Sono contento che si sia tornato a parlare di lui. È giusto riflettere sulla sua storia perché può servire da lezione per non ripetere errori clamorosi. Ahò, ma vi siete dimenticati che Roberto Baggio era stato emarginato dal calcio italiano? Ora si sono fatte vive persone che all’epoca non lo trattarono bene. Mah, lasciamo stare, non voglio fare polemiche. Parliamo di Roberto".

Partiamo dall’emarginazione.

"Un giorno dell’estate 2000 apro il giornale e leggo che la Reggina sta trattando Baggio. Telefono a Cesare Metori, un amico di Roberto, una cara persona che non c’è più e gli chiedo: "È vero che Baggio può andare a Reggio Calabria? Ti chiedo un piacere, chiamalo e fammi parlare con lui". Baggio mi disse che era tutto vero. Mi confidò che non era convinto perché non voleva allontanarsi dalla famiglia. Io colsi al volo l’opportunità e gli chiesi 'Ti piacerebbe giocare a Brescia?'. Roberto mi rispose 'Magari'. Saltai in macchina, andai nell’ufficio del presidente Corioni e gli proposi 'Perché non portiamo Baggio a Brescia?'. Corioni ci pensò un attimo e rispose 'Baggio è come il cacio sugli spaghetti. Il nostro sponsor ha bisogno di un testimonial importante'. Roberto stava allenandosi a Caldogno, con il suo preparatore personale. Faceva l’uno contro uno a centrocampo e vinceva sempre Roberto, naturalmente. Mi raccontò 'Dribblo il mio preparatore e davanti ho il deserto'. Questa è la storia dell’emarginazione di Roberto Baggio".

Perché fu emarginato?
"Dicevano che era rotto. Da anni Roberto aveva un ginocchio che lo faceva tribolare, ma si curava. Si presentava agli allenamenti un’ora prima per fare fisioterapia e potenziamento ed era l’ultimo ad abbandonare il campo. Un paio di allenatori importanti gli avevano fatto terra bruciata. Cattiverie".

Che cosa ha rappresentato Baggio nella carriera di Mazzone?
"Mi ha reso bello il finale. Sono stato un allenatore fortunato: vivere il tramonto della mia professione con lui è stata una grande esperienza".

È stato difficile gestirlo?
"Gestire Roberto Baggio è stato una passeggiata. Era un amico che mi faceva vincere la domenica".

Come si comportava negli allenamenti?
"Faceva un lavoro mirato dal punto di vista fisico, poi si univa al gruppo e le partitelle diventavano poesia. Si metteva al servizio della squadra, ma con un tocco illuminava la scena".

Il Baggio dietro le quinte?
"Silenzioso, educato, rispettoso. Non ha mai fatto pesare la sua grandezza".

I ricordi più belli?
"Se parliamo di gol, quello alla Juventus, a Torino. Controllò un lancio lungo, dribblò Van der Sar e infilò il pallone in porta".

Mai litigato o discusso con Baggio?
"Mai. Era puntuale, serio e la domenica mi faceva vincere. C’era un patto con lui. Non mi piaceva che quando si andava in trasferta i tifosi invadevano l’albergo e lui non aveva un attimo di respiro. Un giorno gli dissi 'Quando sei stanco di firmare autografi, ti tocchi la testa e io intervengo'. Ma lui non si toccava mai la testa e allora sbottai 'Aho, ma non ce l’hai una testa?'. Lui mi rispose 'Mister, come posso deludere gente che ha fatto centinaia di chilometri per incontrarmi?'".

Mai parlato della fede buddista di Baggio?
"Mai. Ho sempre rispettato le scelte private dei giocatori".

Baggio è stato il miglior calciatore italiano di tutti i tempi?
"È stato uno dei più grandi. Ma è stato più grande come uomo. L’uomo supera il giocatore".

Stefano Boldrini© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Sognando Eto'o»

La storia di Abdoul


TRENTO - Sognando Eto'o. No, non si tratta del remake in chiave nerazzurra del popolare film «Sognando Beckham». Si tratta, molto più semplicemente, della storia di Abdoul, quattordicenne del Burkina Faso, giunto nel 2009 in Italia, a Gardolo. Dall'Africa all'Europa, con un idolo, Samuel Eto'o e una passione, il calcio. «Quando ero nel Burkina Faso, a Béguédo, la mia città, giocavo sempre a pallone. Non in una squadra e in un campo vero, ma per strada, con i miei amici. Poi sono arrivato qui a Trento, a Gardolo, e mi sono subito iscritto alla squadra di calcio». Un amore per il pallone che non conosce orari e limiti.

«Con la squadra, i Giovanissimi, facciamo due allenamenti e la partita, ma io in realtà vengo al campetto a giocare tutti i giorni: finisco i compiti, prendo bici e pallone, indosso la mia maglietta di Eto'o e vado. Se sono da solo faccio tiri e palleggi, ma spesso ci sono altri compagni e allora facciamo delle partitelle». Il papà e lo zio di Abdoul sono arrivati in Italia, prima a Vicenza, poi a Brescia e infine a Trento, nel 2002. Sette anni dopo ha lasciato l'Africa anche il piccolo Abdoul. Il sorriso del giovane campioncino si illumina quando gli si parla dell'attaccante nerazzurro. «In Africa guardavo sempre le partite in tv del campionato italiano e spagnolo. Eto'o è un mito e un simbolo per tutti gli africani. D'altra parte è fortissimo: fa un sacco di gol, ma poi sorride sempre, aiuta i compagni, non si arrabbia mai, corre velocissimo e si comporta bene».

Guardiamo Abdoul e poi il suo allenatore e chiediamo: ma tu sei bravo come lui? Abdoul sorride timido, mentre il suo mister, Alex Pinamonti, ci fa capire con un cenno che il ragazzo ha talento. E Abdoul si scioglie. «Beh, sono un attaccante anche io, ho fatto 16 gol quest'anno. Mi piace correre e tirare in porta, sono abbastanza bravo. I miei vengono spesso a vedere la partite e fanno il tifo per me e per la squadra». Indaghiamo un po' e, fermo restando che si parla di un ragazzino di quattordici anni, capiamo che il ragazzo ci sa fare. Stesse caratteristiche dell'idolo interista: grande fiuto del gol, generosità, tecnica ottima e tiro preciso. Abdoul, però, è tatticamente un po' indisciplinato: segue l'istinto e di schemi non vuol sentirne parlare. Ecco una differenza con il campione che, in particolare nell'era Mourinho, ha dimostrato un grande spirito di adattamento, giocando anche alcune partite da terzino. «Anche io ho fatto il terzino una volta, perché un mio compagno si era infortunato».

Poi il «segreto»: in ogni partita Abdoul indossa, sotto la maglia ufficiale, la camiseta numero 9 di Eto'o. Ma ne ha anche un'altra: è di Wesley Sneijder, un regalo dei compagni di squadra, che hanno fatto colletta e regalato la maglietta all'amico, per il compleanno.

E se te lo trovassi di fronte, cosa gli diresti? «Ciao». E poi sorride, con un sorriso che dice esattamente tutto quello che direbbe al suo idolo. Chissà che «sognando Eto'o», come nel film, non possa diventare realtà.

Articolo tratto dal quotidiano "l'Adige.it" - Luglio 2011

Benvenuti nel mio blog "Ilcalciodiunavolta".


Grazie di essere quì con me a condividere un po' del vostro prezioso tempo.
Questo è il mio primo post ed intende spiegare il motivo per cui ho scelto di dedicare un po' del mio tempo a raccontare agli amici che avranno la gentilezza di leggerlo di come lo sport più bello del mondo, il calcio, sia cambiato negli ultimi anni.
Il calcio di una volta, e non mi riferisco a quello eroico dei primi decenni del XX secolo, ma a quello più vicino a noi degli anni '70,'80,'90 era un'altra cosa.
Meno personaggi da copertina, meno comportamenti esuberanti, partite giocate con classe ed eleganza da campioni che non venivano esaltati per avere siglato una rete a "pinco" o l'altra a "pallino".
Calcioscommesse?  Partite truccate? Forse qualche pareggio per non farsi male, ma nient'altro.
Siamo circondati da personaggi di scarsa cultura e dubbie doti tecniche, ma una certa stampa prezzolata fa presto a porre sul piedistallo il carneade di turno.

Eppure c'è ancora tanto entusiasmo, c'è ancora tanta passione in tutti noi ed in molti ragazzi che seguono le loro squadre del cuore e giocano con voglia in migliaia di campi di calcio sparsi un po' dovunque.

Vedremo insieme quali esempi da coltivare ci sono ancora intorno a noi, quali personaggi sono stati e tuttora lo sarebbero esempi da seguire per tutti i giovani.
Vedremo anche le brutture del nostro amato sport e le vicende di cronaca che sempre più lo circondano in modo negativo.
Daremo uno sguardo, senza pretesa di completezza, alle vicende extra-calcistiche, laddove gli episodi di cronaca sportiva saranno significativi e attinenti ai temi inerenti il nostro blog.