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venerdì 6 novembre 2015

Che cos’è la pubblicità e come funziona

L’arte di convincere i consumatori La disciplina del marketing – in cui l’arte prevale sulla scienza Non so se ogni pubblicitario debba avere una sua definizione della pubblicità. Il fatto è che fui obbligato a improvvisare la mia in diretta, durante un’intervista in televisione. I miei neuroni lavorarono a gran velocità e dissi subito: «La pubblicità è... l’arte di convincere i consumatori». Come avrete indovinato, da quel giorno cominciai a usare questa frase e, con gli anni, l’ho sedimentata fino al punto di farne definitivamente “la mia definizione”. Ho una particolare ostinazione sulla parola arte, perché in tutte le discipline di marketing c’è una formula magica basata su una certa proporzione fra scienza e arte. Può darsi che fra tutte la pubblicità sia quella in cui la bilancia pende di più dalla parte dell’arte. Ma la scienza è lì e fa da contrappeso, come un alter ego indispensabile, per impedire che le fantasie artistiche portino il pubblicitario fra le nuvole e lo allontanino dalla realtà del mercato. Permettetemi di fare una confessione. Non sono geniale, e direi che ho la fortuna di non esserlo, perché quella che è stata, è e sarà la mia grande passione e professione, la pubblicità, non ha bisogno di geni. Invece premia il professionista con sensibilità e buon senso. Chi sa tenere i piedi per terra e riservare un grammo di follia creativa solo per quando è necessario. Chi ottiene risultati, chi sa far suonare il registratore di cassa dei sui clienti. Come si comporta il consumatore La pubblicità è un ponte fra il prodotto, o il servizio, e il consumatore. Ce ne sono infinite versioni. Può essere un ponte di pietra o di ferro, romantico o di disegno ultramoderno, sicuro o rischioso, largo o stretto, e così via. La pubblicità non è una strada da percorrere, ma da tracciare. Non siamo viaggiatori o alpinisti, ma ingegneri di ponti e strade. Dice Antonio Machado:«no hay caminos si no que el camino se hace al andar» – non ci sono strade se la strada non si fa camminando. Con il permesso del poeta, possiamo dire che in pubblicità forse si intuiscono strade, ma la strada vera si scopre percorrendola. Analizziamo, dunque, come funziona la pubblicità partendo dalle esperienze di chi la usa, cioè i consumatori. Come si comporta il consumatore? Ecco alcune osservazioni sugli atteggiamenti rispetto alla pubblicità che ci saranno di grande utilità. Permettono di evitare errori da principiante e risparmiarsi molti dispiaceri. Il consumatore sceglie la pubblicità Negli Stati Uniti si stima che la media delle proposte pubblicitarie che un consumatore incontra possa arrivare a 2000 al giorno. Nel nostro paese non ci sono studi così precisi, ma si pensa che siano più di mille. Il problema dell’affollamento pubblicitario non è così nuovo come molti pensano. Nel 1759 Samuel Johnson scriveva su The Idler: «Gli annunci pubblicitari sono oggi così numerosi, che sono letti con negligenza, ed è perciò divenuto necessario conquistare l’attenzione con magnificenza di promesse, e con eloquenza talvolta sublime e talvolta patetica». Non è sorprendente, perciò, che il consumatore cerchi il modo di evitarla. Ciò che oggi facciamo con il telecomando esisteva molto prima che i mezzi elettronici lo rendessero più facile. L’occhio umano è capace di saltare quasi istintivamente gli annunci in un giornale o in una rivista . Più ampiamente, il sistema percettivo ci permette di eliminare e “non vedere” o “non sentire” ciò che non ci interessa. Anche indipendentemente dalla pubblicità, la quantità di stimoli quotidiani è infinitamente superiore alla nostra capacità di percepirli. Prove sperimentali hanno dimostrato come le persone sappiano “non vedere” (o rimuovere) qualcosa se per loro non è interessante, anche se l’hanno davanti agli occhi. Questo è uno dei motivi per cui è molto difficile far “cambiare idea” a una persona. Il consumatore oggi è un esperto nell’uso delle tecniche di selezione per filtrare i messaggi che riceve. Un esame superficiale dei messaggi gli basta per decidere quali ascolterà ed elaborerà e quali ignorerà spietatamente. Ci sono solo due grandi fattori in gioco in questa selezione: le sue esigenze, i suoi gusti e umori del momento; e la nostra capacità creativa per essere rilevanti e richiamare la sua attenzione. Dei mille messaggi quotidiani, un consumatore normale arriverà a ricordarne con precisione tre. I restanti 997 possono rimanere sterili, perciò nella lotta per superare questa soglia non dobbiamo lesinare sforzi creativi. L’informazione può essere di molti tipi. Può essere l’essenziale, cioè far conoscere le caratteristiche del prodotto. O andare oltre, per dimostrare come funziona, che cosa farà in favore del consumatore o in che cosa è diverso da altri prodotti simili. Si considera utile anche un’informazione meno diretta, ma che può essere ugualmente decisiva, come il riferimento al tipo di persone che usano questa marca, o all’impresa che la produce, o a quegli altri valori che da una ricerca risultino i più importanti per il consumatore in quel prodotto. Più si conosce il consumatore e si capiscono le sue esigenze, più vicina a lui sarà l’informazione. La qualità del messaggio - che sia divertente, stimolante, interessante – è un altro fattore. Può attirare il pubblico e far sì che gradisca il messaggio, cosa del tutto desiderabile. La ricerca dimostra che se un annuncio è gradito vende di più. Tuttavia, molti annunci non fanno altro che intrattenere. Alcuni arrivano all’estremo di preoccuparsi così tanto di essere attraenti da dimenticare di spiegare a spettatori o lettori a che cosa serve il prodotto. Questa caduta in picchiata nel mondo dello spettacolo può essere mortale se non ci si protegge con le reti di sicurezza dell’informazione e della fiducia. Nella vita è straordinario avere veri amici, amici di cui ci si può fidare ciecamente. La fiducia non è qualcosa che si improvvisa. È difficile e lenta da conseguire, facile da perdere. Richiede serietà, perseveranza... e anni. In pubblicità, la fiducia non si conquista con l’impatto, ma con un processo graduale. La fiducia totale arriva solo come risultato di tante piccole fiducie parziali che si concedono ai prodotti. Se qualcuno crede nel nostro prodotto e lo compra una volta vuol dire che comincia a darci fiducia, ma questo ci obbliga a non deluderlo. Si è dimostrato precisamente, in base a ricerche, che quando qualcuno ha comprato un prodotto una volta è più disposto a prestare attenzione alla pubblicità di quel prodotto, perché sente la necessità di dimostrare a se stesso che la sua scelta è stata giusta e il prodotto merita di essere usato. A questo punto il processo di costruzione della fiducia è appena all’inizio. Il consumatore non è fedele a una sola marca: sceglie entro una gamma Forse la nostra sarà una storia d’amore, ma non durerà tutta la vita. Il supermercato non è un tempio in cui i matrimoni si consacrano per l’eternità. La fedeltà è un’utopia in un mercato dove il verbo comprare si coniuga facilmente. Andrew Ehrenberg della London Business School dimostrò, al di là di ogni dubbio, non solo che i consumatori di una marca ne comprano anche altre nella stessa categoria, ma anche che nella maggior parte del settore alimentare solo dieci consumatori su cento comprano esclusivamente la stessa marca per tutto un anno. Le sue ricerche dimostrarono che ogni consumatore ha un repertorio di marche. Ognuna di esse è intercambiabile con le altre, perché probabilmente ognuna di esse è acquistata abitualmente da quel consumatore. Quelle che non fanno parte del suo repertorio sono percepite come non accettabili. Perciò, il primo obiettivo della pubblicità è far sì che la nostra marca appaia in questa short list, in questa ristretta lista privata di marche pre-scelte. Ogni altra cosa è una predica nel deserto. È un ammonimento molto importante per le nuove marche che hanno la pretesa di introdursi nel mercato. L’immodestia fa sì che qualche volta questi “forestieri” o nuovi arrivati dimentichino la loro condizione e pretendano di sedurre fin dalla loro prima apparizione in pubblico. Il miglior consiglio è salire passo per passo. Che si fidino della nostra marca sarà il primo risultato. Una volta salita sulla scena, dovrà abituarsi a condividere gli applausi con altre stelle, cercando di avere più ammiratori delle sue rivali. Solo così potrà arrivare ad essere la “prima donna”. "Questo testo è tratto dal capitolo 1 del Nuovo libro della pubblicità. (Il testo è di Luis Bassat; le parti in corsivo sono aggiunte e commenti di Giancarlo Livraghi)